venerdì 15 novembre 2013

La celiachia malattia "nuova" o risultato di una modificazione del frumento?

Questa è una domanda ormai frequente. Tante persone si interrogano sul perché di questa improvvisa ed esponenziale crescita, quasi "epidemica", della celiachia in tutto il mondo o quasi.
Quasi perché sembrerebbe analizzando la diffusione della celiachia a livello mondiale, che esistano ancora delle aree nel mondo dove la celiachia abbia un'incidenza davvero bassa, l'area orientale per esempio, ma anche qui le cose sembrano cambiare. Fino a qualche anno fa si pensava che l'intolleranza al glutine fosse tipica della popolazione europea, ma poi si scoprì che ne era affetta anche la popolazione Americana e Australiana e di lì a poco fu chiaro che la celiachia non aveva confini perché studi confermavano la presenza di questa "nuova" malattia anche in Africa, Paesi dell'Est, America Latina, fino a sconfinare nei paesi dell'Estremo Oriente dove storicamente, appunto, non se ne riscontrava traccia.


Analizziamo due aspetti: la celiachia è una malattia "nuova"? Ed è il risultato di una modificazione del frumento?

Immagine dal web
Allora per quanto ci è dato sapere, la storia della celiachia ha origini molto lontane nel tempo e probabilmente già nel 250 a.C. il medico Romano Galeno aveva descritto questa forma intestinale sia nel bambino che nell’adulto. Nel I secolo d.C. Celso introduceva l’aggettivo celiaco per identificare una malattia diarroica ed Areteo di Cappadocia ne riconosceva l’andamento protratto e la difficoltà della cura. Nel 1888 Samuel Gee descriveva la celiachia in Gran Bretagna ed individuava nella dieta una possibilità di terapia. Addirittura studi recenti hanno individuato i cosiddetti "geni della celiachia" nelle ossa  dello scheletro di una ragazza rinvenuto negli scavi di  Ansedonia, in Toscana,  risalente al I° secolo a.C. Sembrerebbe, per tanto, che la celiachia non sia una malattia "nuova", ma la sua diffusione racconta una storia diversa.
Già perché il quesito è sempre lo stesso, perché l'incidenza e la prevalenza di questa malattia è così vortiginamente incrementata? In molti sostengono che l’aumento dei casi di celiachia sia una conseguenza del miglioramento delle tecniche diagnostiche, ma la spiegazione non convince, appare eccessivamente semplicistica e riduttiva.
E’ mai possibile che non dipenda da uno stile alimentare? L'ipotesi che lo sviluppo della celiachia sia strettamente legato alla manipolazione del grano non è nuova. Non spiegherebbe di certo la presenza di tracce di celiachia nei secoli passati, ma spiegherebbe di certo la presenza di questa malattia in popolazioni che prima non la manifestavano, perché ormai negli ultimi anni le abitudini alimentari della popolazione mondiale sono molto cambiate e anche chi non consumava abitualmente cibi derivati dal frumento ora li consuma, esempio tipico gli africani migrati in Europa. Ma ora, grazie anche alle intuizioni e dichiarazioni di numerosi scienziati di esperienza, pare che questa ipotesi possa arricchirsi di ulteriori dettagli, anche se mai confermata e che lascia ancora numerosi interrogativi.


Il grano nanizzato

Un esempio, il professor Luciano Pecchiai, fondatore dell’Eubiotica in Italia e attuale primario ematologo emerito all’ospedale Buzzi di Milano, ha avanzato una spiegazione di questa possibile correlazione causa-effetto su cui occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate. «E’ ben noto che il frumento del passato era ad alto fusto – spiega Pecchial – cosicchè facilmente allettava, cioè si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia. Per ovviare a questo inconveniente, in questi ultimi decenni il frumento è stato quindi per così dire “nanizzato” attraverso una modificazione genetica». Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica di questo frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, proteina basica dalla quale per digestione peptica-triptica si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale è dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico della celiachia. «E’ evidente – ammette lo stesso Pecchiai – la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine». 

Il grano Creso



Immagine dal web
Chiudiamo con un ultimo esempio, quello del grano creso. Forse qualcuno ricorderà una questione dibattuta qualche anno fa alla quale non è mai stata fornita risposta e che rimane a tutt’oggi un problema apertissimo e attuale: il cosiddetto grano Creso. Nel 1974, all’insaputa dei più, viene iscritto nel Registro varietale del grano duro il Creso. Nove anni dopo, la superficie coltivata a Creso in Italia era passata da pochi ettari a oltre il 20% del totale, con 15 milioni di quintali l’anno per un valore, di allora, di circa 600 miliardi di vecchie lire.Da una pubblicazione del 1984 si ricavò poi che quel grano era stato «inventato» e sviluppato presso il centro di studi nucleari della Casaccia. Nel lavoro, come ricordò nel 2000 anche il fisico Tullio Regge su Le Scienze, si sottolineava l’efficacia della mutagenesi e l’introduzione di nuovo germoplasma e di ibridazioni interspecifiche.In sostanza, il Creso era il risultato dell’incrocio tra una linea messicana di Cymmit e una linea mutante ottenuta trattando una varietà con raggi X. Per altre varietà in commercio erano stati utilizzati neutroni termici. In che misura, per esempio, il consumo continuativo di questo frumento può avere influenzato l’organismo di chi lo ha ingerito? Non si sa, né pare che alcuno voglia scoprirlo. Lo stesso Regge si limitò ad affermare che comunque «lo hanno mangiato tutti con grande gusto». E se la celiachia fosse il risultato di decenni di ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano che sta alla base della maggior parte del cibo che mangiamo? Chissà se a qualcuno, prima o poi, verrà voglia di capirlo. Per ora anziché cercare spiegazioni sulle cause, cosa che permetterebbe di provvedere poi alla loro rimozione, la ricerca percorre direzioni opposte, ipotizzando e sperimentando ulteriori modificazioni genetiche del frumento stesso per «deglutinare», cioè privare del glutine, ciò che ne è provvisto o «immettere» nel frumento caratteristiche proprie di cereali naturalmente privi di glutine. Sperando che tutto ciò non provochi ulteriori conseguenze.

Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org






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